Abstract

Roma, 21 dicembre 2022

Nell’articolo dell’avv. Francesco Maria di Majo vengono esaminate le diverse proposte normative della Commissione UE, che fanno parte del c.d. pacchetto climatico, fit for 55%, che toccano direttamente il tema ambientale nel settore del trasporto marittimo e portuale e che sono in fase avanzata di negoziato tra le istituzioni dell’Unione Europea (c.d. trilogo).

Tali proposte nascono dalla constatazione che il traffico marittimo genera circa l’11% delle emissioni di Co2 dell’UE derivanti dai trasporti e il 3-4% del totale delle emissioni di Co2 nell’UE. Dalla lettura di tali proposte emerge innanzitutto il tentativo della Commissione UE di promuovere l’uso di combustibile alternativo a basse emissioni di carbonio assicurando, in subjecta materia, un approccio coordinato tra gli investimenti degli armatori per tali combustibili e quelli pubblici nei porti volti alla realizzazione delle infrastrutture a tale scopo.

Ma ciò che è stato evidenziato come aspetto critico, da parte delle associazioni degli armatori europei, è la difficoltà ad avere accesso, in quantità sufficienti e a prezzi non eccessivi, ai combustibili alternativi. Tale quadro, destinato a non mutare a breve e a medio termine, renderà particolarmente gravoso, in assenza anche di un sistema di incentivi, il rispetto degli ambiziosi obiettivi, proposti dalla Commissione UE, ovvero degli elevati limiti di riduzione all’intensità di gas ad effetto serra dell’energia utilizzata a bordo delle navi (sia per la propulsione che per il funzionamento di qualsiasi apparecchiatura di bordo, in mare o all’ormeggio). Le nuove regole che l’UE vuole introdurre e i relativi obiettivi da raggiungere (che sono più ambiziosi di quelli previsti a livello IMO), sono infatti particolarmente impattanti per il comparto del trasporto marittimo nella misura in cui il costo dei combustibili per uso marittimo rappresenta una quota sostanziale dei costi degli operatori navali, generalmente compresa (come emerge dai testi in discussione presso le istituzioni europee) fra il 35% al 53% dei prezzi del trasporto marittimo delle merci.

Nel frattempo, mentre la Commissione europea presentava le sopra citate proposte, l’IMO (nell’ambito del Marine Environment Protection Committee, MEPC 76) ha adottato una normativa che comporterà l’introduzione, già dal 2024, di un livello di rating di ciascuna nave basato sull’indice di riduzione annuale dell’intensità di carbonio che andrà raggiunto (Carbon Intensity Index).  Si tratta di un sistema diverso da quello europeo che si basa su una strategia dell’IMO del 2018 e che prevede diversi obiettivi in termini di riduzione delle emissioni di Co2.

Ѐ stato quindi richiesto dalle associazioni degli armatori europei che vi sia un allineamento tra la normativa europea e quella dell’IMO al fine anche di evitare il rischio di perdita di competitività del settore con la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio e delle imprese in paesi terzi.

Disallineamenti emergono, peraltro, anche all’interno della stessa normativa europea, sul tema della promozione dei “combustibili alternativi” nel trasporto marittimo e dell’elettrificazione delle banchine (c.d. cold ironing). In particolare ciò emerge confrontando i criteri, già in vigore, contenuti nella normativa sulla c.d “tassonomia” (V. Regolamento UE 2020/852 e del suo primo Regolamento delegato che fissa, anche per il trasporto marittimo, i criteri di vaglio tecnico volti a stabilire se una determinata attività economica possa essere considerata eco-sostenibile), e quelli contenuti nelle recenti due proposte di regolamento, rispettivamente il Regolamento FuelEU Maritime e il Regolamento sulla realizzazione di un’infrastruttura per i combustibili alternativi (ivi compresi nell’area portuale).

Nell’articolo vengono poi commentate le disposizioni delle proposte dell’UE volte a limitare la concorrenza da parte delle navi dei paesi terzi che scalano i porti dell’UE imponendo loro (nel momento in cui sono all’ormeggio) i medesimi obblighi che riguardano le navi battenti bandiera di uno Stato membro, in particolare imponendo anche alle navi dei paesi terzi l’obbligo di tenere a bordo un certificato di conformità della nave che attesta il rispetto dei limiti di intensità dei gas ad effetto serra dell’energia usata a bordo e dei requisiti relativi all’uso dell’alimentazione a terra (on-shore power supply). A tale riguardo nell’articolo viene altresì illustrato fino a dove e con quale intensità potranno essere esercitati, tenuto conto anche del regime delle Zone Economiche Esclusive (ZEE), i controlli/ispezioni da parte delle autorità marittime degli Stati membri dell’UE per assicurare la compliance ambientale nel rispetto della Convenzione delle N.U. sul diritto del mare e tenuto anche conto delle recenti prese di posizione della Corte di giustizia dell’Ue nel caso italiano Sea Watch, in relazione all’interpretazione della direttiva 2009/16/CE sul Port State Control.

In definitiva, nei prossimi anni si preannuncia, anche per effetto di tale futuro nuovo quadro normativo sia a livello europeo che in ambito IMO, una significativa evoluzione in termini di investimenti “green” sia sul comparto del trasporto marittimo che quello portuale (solo per l’elettrificazione delle banchine il Governo italiano ha stanziato ben 700 milioni di euro di contributi per le Autorità di Sistema Portuale).  Allo stesso tempo si preannunciano all’orizzonte non poche questioni tecnico-giuridiche sull’applicazione pratica di diverse prescrizioni imposte agli armatori e ai porti europei, con particolare riferimento alla metodologia da applicare per calcolare con esattezza l’intensità media dei gas ad effetto serra dell’energia utilizzata a bordo dalle loro navi, partendo, come proposto dalla Commissione UE, da un valore di riferimento del 2020, ed osservando l’approccio “well-to-wake” (dal “pozzo alla scia”) ovvero tenendo conto dell’impatto delle emissioni generate dalla produzione, dal trasporto, dalla distribuzione e dall’uso a bordo dell’energia (“full life cycle emissions”). Tale approccio, che viene anche proposto in ambito IMO, si declina nella due fasi delle emissioni “well-to-tank” (“dal pozzo al serbatoio") e delle emissioni "tank-to-wake" ("dal serbatoio alla scia”). In tale modo dovrebbero essere incentivate le tecnologie e le filiere di produzione di combustibili a minor impatto in termini di Co2, non limitandosi al calcolo delle sole emissioni generate dalla combustione nel serbatoio della nave.

Unitamente al tema della riduzione dei gas clima-alteranti, l’IMO ha continuato a perseguire anche l’obiettivo della riduzione delle emissioni di zolfo (SOx). A tale riguardo è stato recentemente adottato, nell’ambito del MEPC 79 del 12-16 dicembre 2022, per quanto concerne il Mar Mediterraneo, una nuova zona di controllo delle emissioni di ossido di zolfo (ECA) imponendo a tutte le navi (e quindi anche a quelle in transito che rappresentano circa il 40% delle navi che solcano il Mediterraneo) di utilizzare, a partire dal maggio 2025, in navigazione combustibile avente un contenuto di zolfo non superiore allo 0,10%. Tale misura nasce dalla necessità di tutelare l’ecosistema di tale mare sempre più minacciato, anche in considerazione del fatto che sul Mediterraneo si riversa più del 20% del traffico mondiale a fronte di una superficie di circa 1% dell’intera superficie dei mari.

Ma anche su questo aspetto che attiene ad altre forme di inquinamento, altrettanto importanti, diverse dai gas climalteranti, sarà necessario che sia mantenuto un allineamento tra la normativa IMO e quella UE.

Tutti questi temi sono esaminati nell’articolo dell’avv. Francesco M. di Majo pubblicato sul Numero 1 dell’anno 2022 della Rivista del Diritto della Navigazione.

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